Un 8 Marzo per la Gender Equity

Lotto tutto l’anno. Questo uno degli slogan più semantici (cioè più ricchi di significato) fra quelli usati per l’8 Marzo, Giornata Internazionale della Donna.

Questo 8 Marzo ho viaggiato (e lottato) un po’ più del solito: il 7 marzo a Verona  e l’8 marzo due incontri nella mia Toscana, a San Giovanni Valdarno e a Firenze.  A parlare di diritti e uguaglianze.

In effetti, quella che erroneamente è definita “Festa della donna”, l’8 Marzo, è una giornata tutt’altro che meramente celebrativa. I dati attuali sulla Gender Equality sono ancora allarmanti: la violenza sulle donne rimane stabile, anche se aumenta la consapevolezza. Resta ben solido il divario di retribuzione (Pay Gender Gap), la maggiore disoccupazione femminile, la violenza sociale e quella strutturale.

Le donne si laureano prima, con una media del 104 contro il 101 dei maschi, eppure le rettrici donne si contano sulle dita di una mano.

Ciò detto, quello a cui assistiamo è, sovente, il tentativo di una sottrazione di “agency”, di agibilità delle donne che va di pari passo con le gender questions, le questioni relative alla possibilità dei soggetti di raggiungere posizioni paritarie nel contesto sociale.

Ovunque, in ogni incontro, mi è stata posta la stessa domanda: “Cosa possiamo fare per accelerare i processi egualitari?” (ai ritmi attuali secondo il Word Economic Forum ci vorranno ancora 2017 anni)

Ho risposto che io conosco solo 3 parole che possono essere efficaci:

  • educazione paritaria (consapevolezza di genere nel linguaggio, nei libri di testo, nelle azioni quotidiane)
  • agency (le donne debbono reagire assieme ogni volta si leda il diritto di ciascuna)
  • network (le donne, pur nelle reciproche differenze, debbono creare un tessuto di supporto e sostegno reciproco)

Mentivo. Ne conosco molte di più 😉  , ma se ne avessi citate 10 avrei perso l’effetto sintesi sul quale si basa la comunicazione contemporanea.

Perché, vedete, non esiste una ricetta standard: non si tratta, qui, di cuocere gli spaghetti al pomodoro. No, si tratta della complessità storica, della stratificazione sociale, della introiezione delle minoranze del proprio senso di non-efficacia.

Ecco: le donne debbono scoprire il senso della propria auto-efficacia e modificare, agendo,  le rappresentazioni e la giurisprudenza di quello che nel secolo scorso si definiva “patriarcato” (ora si tratta di nuovi essenzialismi).

Siamo state in seconda fila per millenni: adesso ci spetta il palco della storia. E subito.

 

Torna su